I volti cangianti di Tindari e Marinello
L’irresistibile fascino di svariati luoghi della nostra isola è, frequentemente, il risultato di una sapiente commistione tra più disparati fattori, soventemente in contraddizione tra loro. Si pensi – una tra tante – a come nei secoli leggende pregne di superstizioni pagane e convinzioni religiose si siano ben amalgamate, creando un substrato immaginifico divenuto parte insita e costitutiva, al pari della terra e delle pietre originarie di quei luoghi. Visitare, su in vetta, Tindari e, giù a strapiombo, i suoi mutevoli laghetti di Marinello è anche questo: unione esperienziale della storia biologica e scientifica della riserva con lo spirito intriso di leggenda del santuario, eretto per la Madonnina bruna: NIGRA SED FORMOSA.
Cenni storici su Tindari
La splendida cittadina nel golfo di Patti, in provincia di Messina, fu fondata nel 396 a. c. da Dioniso I, tiranno di Siracusa, come colonia della Magna Grecia, al fine di fronteggiare gli attacchi dei Cartaginesi. Fu nominata Tyndaris in onore del Re di Sparta, Tindaro, e sotto la dominazione romana divenne un’importante base navale fino all’arrivo distruttivo prima dei Bizantini e poi degli arabi nel 836.
Le meravigliose testimonianze architettoniche del periodo romano sono visibili ancora oggi area archeologica dove si trovano il Teatro, la Basilica, le Terme, le abitazioni e le case patrizie con i mosaici colorati ancora ben conservati. In corrispondenza dell’antica acropoli, sul versante orientale del promontorio a strapiombo sul mare, si erge poi il Santuario della Madonna bruna: principale attrazione turistica del luogo. Al suo interno è custodita una statua di legno di cedro del Libano raffigurante la Vergine bizantina con Bambino. La tradizione che afferma l’arrivo della statua della Madonna a Tindari intorno all’epoca degli iconoclasti, verso la fine del secolo VIII o nei primi decenni del secolo IX, è molto verosimile ed è avvalorata dalle fonti storiche che annoverano Tindari sotto la dominazione dei Bizantini per circa tre secoli (535-836); e l’opposizione della Sicilia all’eresia degli iconoclasti.
Cenni leggendari su Tindari e i Laghetti di Marinello
Più affascinante è di certo la leggenda che accompagna l’arrivo della statua di cedro: secondo il mitico racconto la statua della Vergine, ben nascosta nella stiva di una nave proveniente dall’Oriente per sottrarla alle persecuzioni iconoclaste, fu abbandonata i nei pressi della baia di Tindari, l’odierna Marinello, durante una tempesta notturna. All’alba del giorno dopo i marinai ansiosi di ripartire, sembrarono essersi incagliati in quel tratto di mare: la nave non osava spostarsi più di un millimetro. Solo dopo aver scaricato la statua che da lì, evidentemente, non volle più andar via, la ciurma fu libera di abbandonar il porto.
I leggendari miracoli della Madonnina bruna continuano e si scoprono, addirittura, essere alla base della genesi dei particolarissimi laghetti di Marinello.
I due piccoli specchi di acqua, creati dal mare insinuatosi nella baia sabbiosa, si possono ammirare, appena fuori dal Santuario, dalla terrazza a picco sul promontorio. Lo scenario, contornato dalle più belle sfumature di blu-mare, è veramente mozzafiato, e dall’alto sembra formare la figura di una donna velata con le braccia pronte ad accogliere. Da ciò deriva forse la leggenda che narra di una madre, accorsa al santuario di Tindari, con la figlia malata e rimasta delusa alla vista del suo colorito scuro. Per essere precisi le parole esatte della donna sarebbero state, da tradizione: “Hàju vinutu di luntana via ppi vidiri a una cchiù brutta di mia”. Tuttavia a seguito della caduta rovinosa della figlia dall’alto monte e all’improvviso ritirarsi delle acque che formarono per l’appunto i laghetti di Marinello, la donna fu costretta a ricredersi e adorare il miracoloso salvataggio della figlia ad opera della bruna Madonna.
I miracoli della natura: i Laghetti di Marinello
La riserva naturale orientata dei Laghetti di Marinello è un’area protetta di 400 ettari, e la sua bellezza è di per sé miracolosa.
I laghetti sono, in realtà, formazioni temporanee di origine salmastra, formate dall’azione delle maree e dall’intervento umano; infatti, a seconda del passaggio del mare, il numero dei laghetti e la loro conformazione cambia continuamente, con il cambiare delle stagioni. Anche se la riserva è stata istituita nel 1998, ma di queste formazioni si ha memoria fin dal 1877. A ridosso del costolone di roccia, e tra le lingue di sabbia bianca, si trovano le formazioni lacustri più antiche: il Mergolo, il Verde e il Marinello, che dà il nome all’area protetta. Sono poi numerose quindi le specie endemiche, di flora e fauna, che caratterizzano il luogo: il fieno di mare, l’elicriso e il barboncino del Mediterraneo, ad esempio e tra le specie dell’ittiofauna, merita una menzione il ghiozzetto macrocefalo, un piccolo esemplare della famiglia dei pesci ossei, che vive a modeste profondità sui fondali fangosi del Verde. Più ci si sposta dal mare, più i laghetti presentano acqua più dolce, e la fauna e la flora, caratterizzata dalla macchia mediterranea, diventano caratteristici del resto di Sicilia: i cespugli di cappero, mirto, fichi d’India e canne, tipica vegetazione delle zone lacustre. Tuttavia rimane il mare cristallino con le sue sfumature paradisiache a essere i veri protagonisti di questa riserva.